giovedì 4 maggio 2017

Anna Karenina e il dimenticato Lévin


Anna Karenina è quel tipo di romanzo che mi ha sempre messo in soggezione. Quando ho cominciato a leggerlo, però, mi sono dovuta ricredere. È come se quest'opera comprendesse tutti gli aspetti della vita umana: ci sono passione e ragione, città e campagna, società e solitudine.
Anna Karenina è una donna che vive nella Russia della seconda metà dell'Ottocento, moglie di un uomo parecchio più grande di lei -sposato soprattutto per convenienza, come era uso all'epoca- e madre del piccolo Serëža.
Dopo aver fatto la conoscenza dell'ufficiale Vronskij, Anna si innamora perdutamente di lui, capendo per la prima volta cosa significa la parola "amore": un turbinio irrefrenabile di sentimenti e passioni.
A questa visione dell'amore viene opposta, però, quella ben più razionale del giovane Lévin: la sua scelta ricade su Kitty dopo ponderate riflessioni e la ragazza diventa l'elemento mancante di una vita in campagna che è sì indaffarata, ma vuota negli affetti.
Tolstoj utilizza questi due personaggi come simbolo dell'opposizione tra sentimento e ragione, concentrando, però, l'attenzione su Anna per condurre il lettore a capire che l'amore dipende da spinte irrazionali -non sappiamo perché ci innamoriamo di una data persona-, ma la vita è fatta di regole da rispettare e decisioni obiettive da prendere. In pratica si raccoglie ciò che si semina (e nel caso di Lévin non c'è modo di dire più calzante di questo).
Credo, però, che il personaggio di Lévin sia troppo sacrificato. Non ci riconosciamo forse tutti in lui, nelle sue speranze verso la persona amata e nel suo duro lavoro?
In mezzo a una società impegnata a curare le apparenze Lévin è un uomo vero, la persona in cui ci possiamo immedesimare: ha una scarsa autostima, ha paura di rimanere solo, desidera una famiglia a cui però fa fatica ad abituarsi. Lévin siamo tutti noi. Lévin sono io.
È significativo, a questo riguardo, che nel film basato sul romanzo di Anna karenina del 2012 la maggior parte delle scene siano ambientate in un teatro, che simboleggia la messinscena della vita e della società, mentre quelle che riguardano Lévin sono state girate all'esterno: Lévin è vero, genuino.
Tolstoj inizia il romanzo dicendo che "Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo". Ebbene, la famiglia di Lévin è felice -mentre quella di Anna è caduta nell'infelicità- perché i suoi componenti hanno preso decisioni giuste, decisioni per cui magari hanno dovuto soffrire in passato, e sono queste che li hanno portati alla felicità tanto desiderata. Se una famiglia è felice dipende dalla scelta dei singoli individui e io, in quanto lettore, ho scelto insieme a Lévin. 

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